Gli esseri umani non sanno “leggere” i cani

Gli esseri umani non sanno “leggere” i cani

L’empatia è diventata una qualità delle relazioni e moltissimi umani si reputano capaci di essere in sintonia con le emozioni da cui sono circondati. Questo vale anche per il rapporto con gli animali e, in particolare, con il cane, di cui pensiamo di saper valutare l’umore.

In realtà non è così e a dimostrarlo ci hanno pensato dei ricercatori dell’Università di Lincoln (pubblicato su Plos One), che hanno registrato le interpretazioni che un gruppo di umani adulti dava alle interazioni non verbali tra due bambini, due cani e due bertucce: ai partecipanti era chiesto di soffermarsi sulla postura e sulle espressioni facciali per comprendere il loro umore, usando tre parametri: giocoso, neutrale o aggressivo. Nel 70% dei casi i partecipanti hanno riconosciuto le intenzioni neutrali e giocose, ma hanno avuto difficoltà a decifrare le condizioni di aggressività e questo soprattutto con riferimento ai cani.

Ma perchè gli uomini non sanno decifrare l’aggressività nella comunicazione che i cani utilizzano per manifestarla o preavvertire di una loro azione aggressiva? Perchè gli esseri umani sarebbero portati a vedere positivamente le interazioni con i cani a causa del sentimentalismo che li lega agli animali domestici, con una grave conseguenza però: sottovalutare l’aggressività, che invece è una componente comunque presente nell’etogramma del cane (come del gatto, del furetto, del coniglio, ecc.). Infatti, come sottolinea Roberto Marchesini nel suo “Animal Studies” del 2018: “non potrebbe esistere la condizione animale senza aggressività, perchè tutti i bisogni fisiologici di un animale, come mangiare, guadagnarsi uno spazio di vita, allontanare un fastidio, difendersi da una minaccia, riprodursi e proteggere i propri cuccioli, richiedono l’intervento di un pizzico di aggressività.”

Un ruolo lo gioca sicuramente anche la rara disponibilità della maggior parte delle persone di impegnarsi a comprendere il linguaggio dell'”altro” (in questo caso il cane): anche nei rapporti intraspecifici di solito pretendiamo l’uso di segnali (parole o gesti) prossimi al “nostro” linguaggio, un atteggiamento che diventa pretesa intransigente quando l’antropocentrismo si fa sentire. E le conseguenze non sono da sottovalutare: è certo, infatti, che la persona che non sa riconoscere un comportamento aggressivo o “leggere” un segnale che manifesta un’azione (magari imminente) di aggressività è più probabile che metta colpevolmente a rischio la propria sicurezza o quella di chi (animale o umano) sta interagendo con il cane.