Nei Racconti: “La gattina e il vecchio cane”

L’allegria, l’esuberanza e anche l’irriverenza di una gattina che incontra un vecchio cane. Tra i due la tenerezza di un legame che si fa profondo, ma che la morte inevitabilmente scioglie, mentre la vita prosegue inesorabile il suo corso proponendo altri incontri, nessuno dei quali, però, eguaglierà mai quello col vecchio cane.
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La gattina e il vecchio cane

Luis Sepulveda ci ha raccontato una deliziosa storia di amicizia tra una gabbianella e un gatto che le insegnò a volare: certo con minori pretese, ma vi voglio raccontare la tenera amicizia tra un vecchio cane e una gatta, che, per quanto mi riguarda, ha sfatato per sempre il luogo comune dell’essere “come cane e gatto “.
Dopo dodici anni di vita spensierata e movimentata in cui, da buon labrador maschio, non si è risparmiato in nulla – del tipo tuffi nei torrenti dai massi, corse a perdifiato sui ripidi sentieri di montagna rincorrendo gli odori del capriolo e della lepre – è arrivata anche per Artù la vecchiaia, accompagnata soprattutto da dolori agli arti con conseguente difficoltà di deambulazione . Di conseguenza, la sua vita è diventata sedentaria: non più passeggiate ma semplici uscite in giardino per i bisogni e per prendere un po’ di sole ristoratore per quelle vecchie ossa!
I suoi dolori erano aggravati da una displasia congenita del gomito – che aveva ben sopportato fino ad allora con rari episodi di zoppia e qualche ciclo di antinfiammatorio – e dai postumi di una rottura del legamento crociato anteriore, motivo di un intervento di ricostruzione da cui era guarito comunque piuttosto bene dopo una paziente e lunga riabilitazione.
Erano trascorsi sei anni dalla morte di Isotta – la dolce labrador nera con cui aveva trascorso gli anni dell’adolescenza e della prima maturità – e adesso era costretto a trascorrere da solo le ore del giorno in cui io e mio marito eravamo al lavoro: non molto tempo, a onor del vero, perchè cercavamo di darci il turno nell’essere presenti in casa o, se la stagione era buona, per passare con lui qualche ora in giardino.
In quei giorni, mi interrogavo spesso su chi potesse stargli vicino per evitare che si annoiasse e si intristisse durante la nostra assenza.
La scelta di un cane cucciolo fu subito accantonata, perché non potendo lui correre e giocare, sarebbe davvero sembrata una cattiveria nei suoi confronti; e anche l’idea di prendere un altro cane adulto non mi convinceva del tutto, perchè avrebbe potuto esserne geloso e perdere la serenità.
Alla fine, ho pensato di prendere un gattino.
Nonostante le riserve di familiari e amici, ero decisa a prendere un norvegese delle foreste da un piccolo allevamento familiare, che, a garanzia della salute del cucciolo, forniva un pedigree e gli screenings sulle patologie tipiche della razza. Dell’ultima cucciolata erano rimaste due sole cucciole red tabby – ergo, tigrate rosse – una più chiara ed una più scura e fin da subito – vale a dire fin dal ricevimento delle foto inviatemi dall’allevatore – la mia preferenza era andata alla cucciola scura dagli occhi verde chiaro.
E’ stato così che mi sono portata a casa una cucciola di otto mesi, che -per l’aspetto e un po’ anche per la personalità forte e decisa – già nel corso del viaggio in auto ho deciso di chiamare Tigrotta.
Appena entrati in casa con la gattina dentro il trasportino, Artù si è mostrato incuriosito ma assolutamente tranquillo. Gli ho fatto annusare Tigrotta attraverso la grata del trasportino e, dopo un po’ che era nella stanza ed il cane era tornato nella cuccia, l’ho fatta uscire: senza indietreggiare di un passo, lei ha guardato per un attimo Artù negli occhi e poi si è lentamente avvicinata alla cuccia, accoccolandosi vicino al cane.
Da quel giorno ha sempre dormito con lui , giocando spesso con la sua coda, che – da buon labrador – era sempre in movimento: Artù la lasciava fare senza infastidirsi e, talvolta, le allungava una leccatina, rovesciandola sul fianco.
Quando il cane era in giardino, a volte Tigrotta gli portava in regalo lucertole, minuscoli topini di campagna e anche qualche uccellino caduto dal nido: poneva i trofei appena dentro il margine della cuccia, aspettava che Artù li vedesse e, dopo qualche minuto, se li riprendeva, rintanandosi sotto un cespuglio a mordicchiarli.
Un giorno, al rientro dal lavoro, ho trovato il cane e la cuccia foderati delle piume nere di un merlo che la gatta aveva spiumato davanti a lui.
Quando il cane mangiava dalla ciotola in piedi sugli arti ormai malfermi, Tigrotta gli stava dietro e, vedendo penzolare qualcosa da sotto la coda, non esitava a colpire delicatamente con la zampina, facendo dondolare quei simboli di virilità senza che il cane mostrasse alcun segno di fastidio: una scenetta davvero spassosa!
Dopo un anno dall’arrivo della gatta, Artù ci ha lasciato ed è rimasta Tigrotta a far compagnia a me e a mio marito.
Non ho mai avuto l’impressione che la gatta abbia sentito la mancanza del cane. Forse anch’io, involontariamente, le ho dato una mano a non cercarlo tra le pareti di casa: appena rientrata dall’ambulatorio del veterinario che gli aveva praticato l’eutanasia, seppur tra le lacrime, avevo fatto sparire la cuccia, i giochi, le coperte e le ciotole di Artù e pulito ovunque, mitigando le tracce del suo odore.
Ci mancava molto la presenza – durata tredici anni – del nostro cagnone e dopo quattro mesi ho deciso di prendere una cucciola che tornasse a riempire di allegria canina la casa.
Così effettivamente è stato per noi umani, ma non per Tigrotta che, abituata ad un cane vecchio e malfermo, con l’ arrivo di una cucciola, esuberante e giocherellona, che la rincorreva continuamente per la casa, ha cercato nuovi spazi dove rifugiarsi: per due settimane ha passato il giorno esclusivamente in soffitta, scendendo a mangiare in terrazzo quando la cucciola dormiva ed avventurandosi in casa solo durante la notte, silenziosa come un fantasma.
E’ iniziata, così, la nuova storia di convivenza tra Tigrotta e Lyzzi, una storia molto diversa da quella vissuta dalla gatta con Artù, ma non per questo impossibile. Dopo una fase di adattamento durata qualche mese, il rapporto tra le due si è assestato nel segno del rispetto: nessuna delle due aggredisce l’altra, né la scaccia, ma entrambe mal sopportano il contatto fisico e non si cercano per dormire una accanto all’altra.
Una convivenza che, dopo due anni, è diventata a tre, a causa dell’arrivo di un secondo cane, un maschio adulto e molto più irruento di Lyzzi, che mio figlio ci lascia per lunghi periodi.
Adesso tra i tre si è raggiunta una buona armonia, poiché ognuno di loro si è ricavato il proprio spazio vitale: gli incontri in giardino sono fugaci e la convivenza in casa guardinga e nessuno accenna a prevaricare.
Ma la tenerezza e la serenità che vedevamo nelle giornate trascorse insieme da Artù e Tigrotta non le abbiamo più notate: era e resta tutta un’altra storia!

Renata Serragiotto

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