Non mandarmi in confusione

Uno studio etologico condotto dall’Università di Eotvos Lorand di Budapest ha dimostrato che i cani mostrano un’intelligenza maggiore quando sono lasciati soli con un compito da risolvere. Infatti, quando sono in compagnia del proprietario adottano una logica poco lineare e meno funzionale, con il solo scopo di “accontentare” il loro compagno umano.

Anche l’uso del corpo fa parte della sessione di MobilityDog (nella foto L. Spennacchio durante il seminario rivolto ai volontari di Apaca)

La ricerca permette anzitutto di abbandonare per sempre la teoria che collega i comportamenti intelligenti dei cani alla lunga convivenza con l’uomo (intelligenza che sarebbe dunque solo adattiva) e di affermare che l’addestramento (inteso come l’insieme delle attività che rendono idoneo il cane a una funzione determinata o a un comportamento specifico) rende più complicato il suo comportamento in situazioni sociali, dato che, in presenza del proprietario, il cane si orienterebbe nelle scelte secondo la logica umana, di fatto portandolo a comportamenti errati.

Senza la presenza umana – dicono i ricercatori – l’attenzione dei cani è rivolta, infatti, solo e soltanto al compito che stanno affrontando (ragionamento inferenziale) e quindi facendo deduzioni e risolvendo problemi logici in base ai dati che hanno davanti. Quando, invece, c’è anche il proprietario, l’intelligenza attivata dal cane è quella basata sull’addestramento e quindi sull’imitazione di ciò che vedono o sulla ripetizione di ciò che hanno fatto in passato in condizioni simili.

In rifugio c’è consapevolezza di questa diversa dimensione dell’intelligenza e i cani – che spesso arrivano da maltrattamenti o da detenzioni etologicamente drammatiche – sono stimolati a prendere decisioni in autonomia (è qui che risiede la differenza maggiore tra addestramento ed educazione): lo facciamo per dare al cane un indirizzo di sviluppo, utilizzando il nuovo campo di MobilityDog, ma anche le ricerche olfattive e, quando possibile, lasciandoli interagire liberi tra loro e nell’ambiente. Nella generalità dei casi, i risultati arrivano: cani che, ad esempio, non si facevano avvicinare o toccare (ripetendo anche in canile quanto ripetuto centinaia di volte nel corso di una pessima detenzione o durante una vita randagia) acquistano fiducia in se stessi, sperimentano nuove possibilità di risolvere i loro problemi legati, ad esempio, alla paura e si aprono a esperienze che li portano a riflettere e a manifestare scelte e preferenze.

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